di Lorenzo Pasqualini

La Spagna sta vivendo in questo maggio del 2020 un primo allentamento delle restrizioni dopo i due lunghi mesi di confinamento per l’emergenza coronavirus.

Il governo di coalizione formato da Socialisti, Podemos e Izquierda Unida, guidato da Pedro Sánchez, l’ha chiamata “transizione alla nuova normalità”, mentre i giornali usano il più corto “desescalada”. È la fase 2 spagnola, quella in cui pian piano si allentano le restrizioni che erano state imposte il 14 marzo, giorno in cui è stato dichiarato lo stato di allerta. Questo graduale passaggio alla “nuova normalità” dovrebbe andare avanti per tutto maggio e fino al 30 giugno, in modo diverso a seconda delle province.

Del resto, l’epidemia ha colpito in modo diverso il paese a seconda delle aree geografiche. La Comunità Autonoma di Madrid, con oltre 65.000 casi confermati di COVID-19 e quasi novemila morti è stata l’epicentro del disastro.

Queste cifre non tengono conto per adesso delle migliaia di persone morte nelle case di riposo, un disastro nel disastro. La seconda regione più colpita è stata la Comunità Autonoma della Catalogna, con oltre 52.000 casi di contagio e più di 5.500 morti (che salgono a 11mila se si contano le morti avvenute nelle residenze per anziani). La Spagna è stato uno dei paesi più colpiti al mondo dalla pandemia di COVID-19: oltre 27.000 morti e 224.000 casi confermati totali di coronavirus.

Ma i primi dati di uno studio di sieroprevalenza su circa 70.000 persone reso pubblico a metà maggio, mettono in luce che i contagi nel paese potrebbero esser stati finora oltre 2 milioni. Solo il 5% della popolazione. Un dato che lascia diverse preoccupazioni per il futuro.

Nelle ultime settimane comunque c’è stato un gran miglioramento sul fronte dei nuovi contagi e si è allentata la pressione sugli ospedali. Sono i risultati del prolungato lockdown. Gli ospedali non si trovano più nella situazione di sovrasaturazione di fine marzo e sono stati smontati i grandi ospedali da campo, come quello allestito presso la Fiera di Madrid nelle settimane più critiche.

Fin dai primi giorni della crisi si è parlato molto dei danni fatti alla sanità pubblica dai tagli dell’ultimo decennio, in particolare durante i governi di destra del Partido Popular. C’è stata molta polemica anche sull’assenza o poca disponibilità di dispositivi di protezione per i lavoratori sanitari. La percentuale di contagi tra i sanitari è stata altissima, tra le più alte in Europa.

La Spagna, dicevamo, inizia con lentezza a riconquistare la libertà in una situazione in miglioramento, ma restano forti limitazioni agli spostamenti. Fino al 24 maggio continua ad essere attivo lo stato di allerta (estado de alarma), che probabilmente verrà prorogato ancora. È una misura prevista dalla Costituzione spagnola che consente in caso di crisi sanitaria o calamità naturale di limitare la circolazione delle persone e permette allo Stato di prendere il controllo di industrie, fabbriche, imprese private. Dura 14 giorni ed è prorogabile, ma la proroga dev’essere di volta in volta approvata dalla maggioranza del Congresso dei Deputati.

Una delle cose più importanti previste da questo stato di emergenza è che il governo diventa la massima autorità competente su sanità, interni e difesa. In un paese dove le autonomie regionali sono forti, le decisioni su mobilità e sanità passano tutte in mano allo Stato. Non è una cosa da poco in Spagna, dove in regioni come Catalogna e Paesi Baschi c’è una forte identità nazionale e non si accetta di buon grado il controllo totale dello Stato.

Inizialmente questa situazione è stata perlopiù accettata, i malumori sono stati più o meno taciuti. Nelle settimane della “desescalada” le Comunità Autonome hanno iniziato però ad alzare sempre più la voce contro il governo, facendo affiorare volontà politiche di fare da sé e decidere da sé come riaprire tutto.

Ai malumori delle autonomie con forte identità nazionale si sono aggiunti quelli delle Comunità Autonome governate dalla destra, come Madrid e l’Andalusia: qui i partiti hanno elevato il livello di scontro con il governo centrale di sinistra, criticando la sua gestione della crisi. A livello nazionale l’opposizione al governo di Pedro Sánchez è stata molto dura nelle settimane di confinamento.

Vox, partito di estrema destra che alle elezioni del 10 novembre 2019 ha ottenuto 50 deputati, ha portato avanti una opposizione molto aggressiva, arrivando ad accusare direttamente l’esecutivo delle morti per coronavirus. Per “negligenza” e per aver agito male.

Vox ha anche organizzato “caceroladas” alla finestra ogni sera alle 21, con baccano di pentole per chiedere le dimissioni di Sánchez. Un tipo di manifestazione che a metà marzo era stato scelto dalla sinistra repubblicana per contestare il Re durante il suo discorso alla nazione, dopo l’ultimo ennesimo scandalo che ha colpito la Casa Reale, e che è diventato il nuovo appuntamento al balcone della destra spagnola.

Vox ha anche usato lo strumento delle fake news sulle reti social. L’errore di Sánchez di non proibire le manifestazioni dell’8 marzo, quando era ormai chiaro che la situazione stava precipitando, è stato usato dalla destra per bombardare di accuse l’esecutivo di sinistra e scagliarsi ancora più aggressivamente contro il movimento femminista. Anche il Partido Popular ha portato avanti una campagna aggressiva di opposizione.

I toni si sono alzati fra aprile e maggio, quando il PP ha iniziato a mostrarsi sempre più contrario ad una nuova proroga dello stato di allerta. Il leader Pablo Casado è arrivato ad accusare Sánchez di voler arrivare, con le continue proroghe dello stato di allerta, ad una “dittatura costituzionale”. Il PP potrebbe non votare una nuova proroga, creando un serio problema al governo.

«Sarebbe il caos», ha affermato il Ministro della sanità, perché la gestione della “desescalada” diventerebbe difficile. Se da una parte questa opposizione evidenzia la radicalizzazione della destra spagnola avvenuta negli ultimissimi anni, viene messa in evidenza anche la sua difficoltà. Il PP, ma anche Ciudadanos (Cs), sono in difficoltà per la gestione della crisi coronavirus nella regione più colpita, Madrid, governata proprio da una coalizione PP-Cs. Il governo regionale madrileno guidato da Isabel Ayuso è finito in una serie di scandali e polemiche per mala gestione durante la crisi del coronavirus, fra cui quello delle mascherine non a norma di legge, ed è in crisi di popolarità. Le accuse a Sánchez sono quindi utili a spostare l’attenzione.

Al momento gli attacchi non hanno avuto effetti sul fragile governo Sánchez, che sembra reggere l’onda d’urto dell’emergenza sanitaria, ma come andrà in futuro?

Nato soltanto pochi mesi fa, a inizio gennaio 2020, il governo attuale è il primo esecutivo di coalizione della storia democratica spagnola. Composto dal Partito Socialista (PSOE) e da Unidas Podemos (che riunisce Podemos e Izquierda Unida), è un governo di minoranza. Sánchez ottenne la fiducia a gennaio 2020 grazie all’astensione del partito nazionalista catalano (negli ultimi anni indipendentista) Esquerra Republicana (ERC). ERC si astenne nella votazione di investitura consentendo l’elezione di Sánchez a cambio di una politica di maggior dialogo verso la Catalogna. Proprio su questo fronte un serio campanello di allarme per il governo Sànchez è suonato a inizio maggio, quando si è votato in Parlamento per la quarta proroga allo stato di allerta.

Il partito nazionalista catalano ERC ha votato contro, ormai in rotta con il governo. Se oltre alla destra anche i partiti nazionalisti catalani e baschi si schierassero contro il governo, la vita dell’esecutiva sarebbe breve. E si avvicinano tempi difficili. Sul tavolo infatti non ci sarà solo la solita spinosa questione territoriale, ma la gestione di una pesantissima crisi economica. La Spagna stava vivendo in questi anni una ripresa, ma a livello sociale e politico ancora faceva i conti con la crisi iniziata nel 2008. La diffusa precarietà ed i salari bassi, ed una disoccupazione ancora alta erano le realtà di inizio 2020. Cosa accadrà nei prossimi mesi?

Le previsioni sono molto negative. Oltre al crollo del PIL preoccupa la previsione di una disoccupazione che tornerebbe a sfiorare il 20% (nel 2013 aveva toccato il 27%). A Madrid e Barcellona le associazioni umanitarie e i banchi di alimenti parlano di un aumento del 40% delle persone che si rivolgono a loro per mangiare.

Il governo ha varato prime misure di aiuto all’economia con stanziamento di decine di miliardi di euro e dovrebbe essere inserito a breve un reddito minimo, voluto in particolare da Unidas Podemos. Tante le domande: ad esempio, cosa accadrà con il turismo, che costituisce uno dei pilastri dell’economia del paese?

A marzo l’esodo di turisti internazionali dalla Spagna è stato enorme, oltre 1 milione di viaggiatori hanno lasciato il paese. Fra questi anche migliaia di italiani, che si sono serviti di voli e navi speciali per tornare in patria (circa 14mila), mentre molti altri restavano bloccati dal lockdown. Quando torneranno? Potranno farlo?

Al momento non si sa quando riapriranno le frontiere, sono ancora chiuse quelle terrestri con la Francia e con il Portogallo (paese che pur condividendo con la Spagna parte del territorio della Penisola iberica, ha avuto una situazione molto meno pesante), chiusi molti passi montani ed il governo obbliga a una quarantena di 14 giorni chiunque faccia ritorno.

Lorenzo Paqualini, giornalista freelance fra Madrid e Roma, è fondatore e autore del sito El Itagnol – notizie dalla Spagna e caporedattore del portale Meteored Italia; scrive di Spagna per giornali e riviste italiane, ma anche di ambiente, scienze, geologia ed è un grande amante della montagna, del mondo delle grotte e dei viaggi.