di Silvia Sourez

Ciao, sei felice? Questa la prima domanda che mi ha fatto Fausto Romano avvicinandosi in un bar del Bairro Alto mentre ero con amiche a bere vino dopo una giornata di lavoro. Mi ha spiazzato e gli ho risposto d’istinto di sì.

E lui ha continuato. Perché? E mi ha spiazzato una seconda volta. Nessuno chiede a una sconosciuta se è felice e soprattutto nessuno chiede il perché lo è.

Controbatto chiedendogli cosa ci fa a Lisbona. Mi risponde che è stato mandato dal Ministero Italiano della Felicità a fare un’indagine sui connazionali residenti all’estero. Penso che ha esagerato col vino – anche se sembra lucido – così finisco il mio bicchiere ed esco dal locale, ma prima Fausto mi lascia il suo numero di telefono seguito dal nome su un tovagliolino. La mattina seguente lo “googlo” e scopro che non era un ubriaco ma un cantastorie, come lui ama definirsi.

In questa parola ci sono tre mestieri: l’attore – è diplomato presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma – il regista – ha realizzato 3 cortometraggi vincendo numerosi premi tra cui il premio Fellini ed è stato in concorso alla 74° Mostra del Cinema di Venezia e candidato ai Golden Globe – e scrittore – ha pubblicato 3 romanzi, l’ultimo si chiama Ninnanò ed è un giallo che fa incetta di ottime recensioni.

Voglio capire che cosa ci fa davvero in Portogallo. Gli scrivo chiedendogli se avrebbe voglia di continuare la chiacchierata nel pomeriggio.

Mi risponde invitandomi a correre con lui perché si sta allenando per la mezza maratona di Lisbona. Il mio unico esercizio fisico è alzare il braccio per bere e rimando l’incontro a dopo la sua corsa. Ci incontriamo a Cais do Sodré, un gruppo suona del rap e il sole sta tramontando dietro il ponte del 25 Abril. Fausto arriva in bici a noleggio stando bene attento a dove parcheggiarla, mi stringe la mano e andiamo a bere una cerveja in un pub che si affaccia sul Tago. Ma a lui non piace perché non c’è una buona luce e così ci spostiamo in uno vicino e che dice di conoscere. Ci sediamo e ordiniamo.

Da quanto sei qui? gli chiedo. Da dieci giorni, mi risponde. Sembra che viva qui da più anni di me che ci vivo da sedici, da quando mio papà (portoghese) dopo vent’anni di Italia (dove aveva conosciuto mia madre) si è stancato e ha deciso di portare la famiglia dov’è nato e cresciuto. Arrivano le birre fresche e io estraggo dalla borsa un taccuino, lui lo guarda e mi dice che ne ha uno simile che porta sempre con sé. Non lo sa che sono una blogger curiosa e che gli sto per fare un’intervista. Quando inizio a scrivere però si insospettisce e mi chiede: Sei del recupero crediti? Gli spiego che vorrei scrivere un pezzo su lui, mi chiede perché e gli rispondo che mi incuriosisce, che ho fatto delle ricerche e scoperto che non lavora per il ministero della felicità. Mi dice che non devo fidarmi di Internet e mi esorta a chiudere il taccuino; se proprio devo raccontare qualcosa su di lui, devo farlo con quello che mi ricorderò. Accetto e iniziamo la nostra conversazione/intervista.

Fausto perché sei qui?
Vuoi la verità o la bugia?

Tutte e due.
La bugia è che sono qui per scrivere un nuovo romanzo, la verità è che avevo voglia di andare a vivere in un posto bello.

Perché hai scelto Lisbona?
Perché è la città di Pereira, di Pessoa, ma anche perché in questi ultimi tempi ci vengono tutti e volevo capire come mai, cosa c’è oggi di così misterioso in queste case azzurre e assolate.

Lo hai capito?
Non ancora, o meglio, non c’è un solo perché. In questi giorni sto incontrando tante persone, tra italiani, americani, tedeschi, spagnoli e domando loro perché sono qui, cosa cercano. Ognuno è arrivato con un desiderio e tutti questi desideri si assomigliano tra loro e possono essere raggruppati sotto una sola frase: “cercare la felicità”.

Non è quello che cerchiamo tutti, in ogni parte di mondo?
Certo, ma sembra che Lisbona partecipi attivamente a questa ricerca. E, in effetti, se ti guardi intorno tutta questa gente sembra serena o addirittura felice. Ma forse è solo una mia proiezione, forse è felice perché io in questo momento sono felice.

Ti chiedo quello che mi hai chiesto la prima sera che ci siamo incontrati “Perché sei felice?”
Perché sono in salute, ho un letto dove dormire, perché faccio il mestiere che ho scelto di fare e perché ho scelto di venire qui. Quando uno sceglie qualcosa è già vicino alla felicità, non per niente la pena più ignobile e severa per un uomo è metterlo in una cella e privarlo del diritto di scegliere cosa fare, dove stare, con chi stare.

Parlerà di questo il tuo ultimo romanzo, della felicità?
Se non c’è la ricerca della felicità, che venga appagata con il raggiungimento di un amore o di una vendetta violenta, non ci può essere una storia. Una storia inizia quando un personaggio si accorge di non essere felice o nel momento in cui questa sua felicità viene interrotta, turbata e messa in pericolo.

Quale sarà quindi la trama? Sarà un giallo come il tuo ultimo Ninnanò?
Non lo so, credimi. Quando inizio a scrivere una storia non so mai di cosa parlerà, mi abbandono ai personaggi, vengo accompagnato da loro per mano e godo, godo come quel tizio sullo skate.

Il tizio è appena caduto.
Ma ora si rialza, è questo il bello. Uff, quante cadute uno si fa con la scrittura, la scrittura è un continuo rotolare, sbucciarsi le ginocchia, rialzarsi, continuare ad andare, riscivolare… come la vita, no? Quest’ultima cosa non la scrivere, non mi va di passare per uno che spara massime sull’esistenza o sull’arte. Io so poche cose, pochissime… sono un fanciullino che è curioso di tutto e cerca di marinare la scuola della vita.

Ma se marini la scuola della vita come fai a raccontarla?
Marino la scuola, mica la vita. La scuola che ci vuole tutti uguali, carini, col grembiulino pulito, con le braccia conserte a ripetere i versi di una poesia, a fare la parafrasi, Dio la parafrasi! Chiedere a un bambino cosa voleva dire il poeta con quella parola è distruggere il concetto stesso di poesia; questi insegnanti andrebbero condannati ai lavori forzati. Scusa, mi sono scaldato, bevo. Comunque io la vita cerco di morderla, di tuffarmici dentro come in questo fiume… a, proposito, ma si può fare il bagno qui?

No, se ti tuffi qui muori.
Mi dispiacerebbe morire adesso, ho ancora tante cose da fare.

Del tipo?
Guardare tramonti, correre, fischiettare, essere nostalgico, mangiare le polpette al sugo che fa mia madre, far sorridere una bella donna…

Pensavo ti riferissi ai tuoi prossimi progetti lavorativi; a parte il romanzo, quali sono?
Per ora scrivo questa nuova storia e non mi preoccupo di altro. Ma ci sono tante storie che voglio raccontare, ce l’ho già tutte qui (e si tocca il cuore). Io so benissimo quale sarà, per esempio, il mio quarto film, anzi vorrei partire direttamente dal quarto, così sono subito un regista affermato. Che orribile parola, affermato, come se nell’arte ci si possa “affermare”!

E gli altri tre film?
Li realizzo prima, però non li faccio vedere a nessuno. Come quei registi nordcoreani sconosciuti che fanno un film che va bene, che vince magari l’Oscar e così la distribuzione compra i film che han fatto prima, che, magari, non sono proprio come il quarto però tutti dicono che sono bellissimi.

Che idea hai del cinema italiano e conosci quello portoghese?
Scusami ma mi viene il prurito quando si vuol parlare di cinema in questo modo; l’arte è come il sesso, è sempre sbagliato e soprattutto inutile parlarne fuori dal letto.

Ok, allora ti chiedo cosa ti piace di più tra le tue professioni: l’attore, il regista o lo scrittore?
Mi piace raccontare storie, che poi lo faccia su un palcoscenico o dietro una macchina da presa o da solo nella mia cameretta battendo al computer… è bello, sempre, ma sono bellezze diverse.

Cioè?
Ogni mestiere ha i suoi lati positivi e negativi. Nella scrittura il lato positivo è che sei solo (o meglio con i tuoi fantasmi) ma è anche quello negativo perché a fine giornata avresti una voglia matta di condividere quello che sta accadendo nel romanzo con qualcuno ma è difficile perché l’altro non capirebbe niente se tu gli leggi un passaggio del quinto capitolo, quello non sa nemmeno chi sono i personaggi!

Torniamo a parlare di Lisbona, che idea ti sei fatto della cosiddetta “Lisboom” assaltata da stranieri e turisti o della “gentrificazione” ovvero al processo di sostituzione, in una determinata area urbana, di una classe economicamente più svantaggiata a favore di una più agiata.
Non so risponderti, sono qui da troppo poco tempo. Sicuramente Fernando Pessoa non la riconoscerebbe più, questo è normale, viviamo in un tempo velocissimo dove tutto cambia rapidamente e le città devono stare dietro a questa trasformazione, con affanno e col rischio di assomigliarsi e questo lo trovo disastroso. Ti posso dire che, se me ne andassi domani da qui, me ne andrei con un senso di dispiacere per non aver trovato la Lisbona autentica, poetica, puzzolente di vita, che forse non esiste più… ma forse sì e la sto cercando.

Ho la sensazione che ti sia subito ambientato, o sbaglio?
A parte il cibo, noi italiani su questo siamo dannati perché abituati fin troppo bene, Lisbona è una città che sento vicina a me, generosa, dolce, divertente. L’altra sera sono capitato per caso in un locale dove si stavano svolgendo le prove per il carnevale e c’era questa banda di tamburi e io mi son messo vicino a loro, a osservarli, attratto da questi ritmi… c’era una ragazza magra, piccolina, con un tamburo enorme ed era bravissima! Bene, dopo un po’ mi hanno dato anche a me un tamburo, delle bacchette e inserito nella loro banda. E questo lo trovo bellissimo e mi commuove pure. Poi dipende dalle storie personali o dal carattere di ognuno; forse se chiedi a uno che fin da subito è stato sbattuto in un call-center a lavorare nove ore al giorno, non ti dirà che trova la città divertente e generosa.

Basta mi è venuta fame.

Paghiamo e andiamo a mangiare a Praça de Figueira dove c’è un posto che fa i bifana buoni, (panini con la carne di maiale). Una brezza si alza dal Tago e i traghetti trasportano gli ultimi turisti della giornata, turisti affamati che troveranno appagamento (o forse no) nei ristoranti della città. Parliamo ancora di tante cose, ma questa volta è Fausto che mi chiede cosa faccio a Lisbona, come mi trovo e com’è cambiata la città da quando sono arrivata. Attento e curioso di quel che dico, sembra appuntarsi tutto nella sua mente pensando, forse, di inserire questa conversazione nel suo romanzo. Dopo aver divorato i panini, ci salutiamo e gli dico che scriverò qualcosa su questa nostra chiacchierata; Fausto mi risponde che non mi ricorderò un bel niente. Non sa che l’ho registrato col cellulare. Prima di lasciarci mi urla di scrivere invece qualcosa sul libro di Tabucchi “Sostiene Pereira”.

Il blog col quale collaboro si chiama proprio “Sosteniamo Pereira”.
Incredibile, se sono qui è anche per quel romanzo (ora mi stai intervistando su un blog che “gli fa il verso”,) che è stupendo, spero con la mia storia di avvicinarmi di qualche virgola alla sua bellezza.

Insomma, se un ricciolino moro con un baffo simpatico vi avvicinerà per chiedervi se siete felici, non mandatelo via pensando a un ubriaco o a un provolone. Farete forse parte della sua nuova storia che, sono sicura, raccoglierà le nostre storie d’italiani sognatori alla ricerca di qualcosa di bello in questa città così magica, così colorata in continuo cambiamento, che accoglie tutti e a tutti dà una possibilità.

Boa viagem Fausto, Lisboa espera por ti!

Fausto Romano (Galatina, 1988) si definisce un cantastorie. Diplomatosi in recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, ha realizzato i cortometraggi Cratta, vincitore di numerosi premi tra cui il Premio “Fellini”, Nessuno si lascia a Natale e La giraffa senza gamba, in concorso alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia e finalista ai Globi d’Oro. Ha pubblicato Grazie per aver viaggiato con noi (Lupo Editore, 2013) e Anche i pesci hanno il mal di mare (Alter Ego Edizioni, 2016).
Il suo ultimo romanzo è  Ninnanò (Alter Ego Edizioni, 2019).